Le idee di Giuseppe Verdi sulla riforma degli studi musicali sono valide ancora oggi?, in Musica theorica SPECTRUM,37, Anno XIII - Gennaio 2001. Milano, Curci.

Di riforma degli studi musicali si cominciò a parlare in Italia subito dopo l’Unità. I vari ministri che si succedettero alla Pubblica Istruzione convocarono regolarmente delle Commissioni per esaminare il problema. E’ naturale che per presiedere dette Commissioni fosse fatto sempre il nome di Giuseppe Verdi, allora nume incontrastato dell’arte musicale italiana. Il comportamento di Verdi fu sempre molto scettico a questo riguardo.

Nel 1862 Verdi fu interpellato per la Riforma del Conservatorio di Milano, ma come scrisse alla contessa Clara Maffei nel 1864 “la testa voleva  che proponessi: punto 1 – l’abolizione (per l’amor del cielo che Mazzuccato e Filippi nol sappiano), delle scuole di ESTETICA e di ALTA COMPOSIZIONE MUSICALE. Feci un salto dalla spavento e scrissi al Ministro rifiutando”.[1]

Nel 1871 il ministro dell’Istruzione Correnti cercò di convincere Verdi a far parte di una Commissione per il riordinamento degli studi musicali nei Conservatori italiani. Verdi non voleva partecipare, e scrivendo a Ricordi nel gennaio 1871 sostenne:

“Io sono convinto che non è una Commissione che possa riformare i Conservatorii. Quando noi avessimo anche tracciate ottime norme (ammettendo la possibilità) d’insegnamento, cosa avremmo fatto? Nulla!”[2]

In una lettera al ministro Correnti del 1 febbraio 1871 da Genova Verdi scriveva: “ A prova del mio dire aggiungo che non vi erano norme di insegnamento negli antichi Conservatorj di Napoli, diretti da Durante e da Leo. Essi stessi creavano la via da seguire. Erano vie che in alcune parti differivano fra loro, ma entrambi buone. Né più tardi v’erano norme d’insegnamento con Fenaroli, che lasciò i suoi partimenti ora adottati da tutti. Così al Liceo di Bologna al tempo di Padre Martini, nome a cui tutti s’inchinano, italiani e stranieri, tra questi Gluck e Mozart. Il Conservatorio di Parigi, invece ha ottimi regolamenti; ma ciò nonostante, ha dato buoni risultati solo quando v’era Direttore un uomo di grandissimo valore: Cherubini”.[3]

Fu solo grazie alle insistenze dell’amico senatore Giuseppe Piroli, che Verdi accettò di far parte di detta Commissione, sul cui esito non aveva alcuna fiducia. In una lettera al Piroli del 20 febbraio 1871 scriveva:

“Vorrei dunque pel giovine Compositore esercizj lunghissimi e severi su tutti i rami del Contrappunto. Studj sulle composizioni antiche sacre e profane. Bisogna però osservare che anche fra gli antichi, non tutto è bello; quindi bisogna scegliere.
Nissuno studio sui moderni!  Ciò parrà a molti strano; ma quando sento e vedo in oggi tante opere fatte come i cattivi sarti fanno i vestiti sopra un patron, io non posso cambiar d’opinione. So bene che mi si potranno citare molte produzioni moderne che valgono le antiche; ma che importa? — Quando il giovine avrà fatto severi studi; quando si sarà fatto uno stile e che avrà confidenza nelle proprie forze, potrà bene, se lo crederà utile, studiare più tardi queste opere e sarà a lui tolto il pericolo di diventare un imitatore. Mi si potrà opporre: “Chi insegnerà al giovine l’istromentale? Chi la composizione ideale?” — La sua testa ed il suo cuore, se ne avrà”.[4]


[1] I Copialettere di Giuseppe Verdi, a cura di Gaetano Cesari e Alessandro Luzio, Milano 1913, prefazione di Michele Scherrillo, p.249.
    [2] Lettera  del gennaio 1871, in Carteggi verdiani, a cura di Alessandro Luzio, Volume IV, Roma, Reale Accademia d’Italia, Studi e documenti, 1935-XIII,  p.242
    [3] Lettera del 1 febbraio 1871, in  I Copialettere di Giuseppe Verdi, cit., p.242.
    [4] Lettera del 20 febbraio 1871, in I Copialettere di Giuseppe Verdi, op.cit, p.250.

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