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Luigi
Verdi è figura singolare nel panorama della musica italiana, anzi potremmo dire
che è figura plurale in quanto
incarna in sé competenze e passioni diverse, da quelle relative alla
composizione e alla direzione d’orchestra, a quelle musicologiche e analitiche.
Se
l’analisi è lo studio svolto per capire com'è costruito un brano (dal greco analysis=sciogliere,
esaminare), se si basa sulla scomposizione dei vari elementi, per poi
ricostruire il senso del brano musicale, mettendo in evidenza l’assetto
architettonico del flusso sonoro, ricostruendo il come viene narrata la
trama dei suoni, il procedimento seguito da Verdi è allora prettamente
analitico e teoretico. La parola teoria è formata da theas=spettacolo e horan=osservare,
da cui deriva theorema che sta a significare “contemplazione di uno
spettacolo”, quindi la teoria è l’osservazione dei fatti e la loro
sistemazione in un’esposizione organica. Quella praticata da Verdi è la
dottrina metodologica che si lega agli aspetti matematici e speculativi,
riallacciandosi a metodi antichissimi. La numerologia come fondamento della
teoria musicale è già praticata nelle prime civiltà, da quella egiziana a
quella greca. Il pitagorico Filolao dice che “senza numero, niente può essere
pensato e conosciuto”, si precisa così la concezione del numero come substrato
fondante della realtà e s’introduce l’idea del numero come rapporto.
Già gli egiziani, come ci testimonia Diodoro Siculo, avevano il numero come
base dell’armonia sonora e della simmetria per l’architettura, la scultura e
la pittura. Il numero è anche la misura dell’universo, concezione ripresa in
ambito cristiano, per Agostino era la garanzia dell’Unità del Tutto.
Impostazione ripresa, com’è noto, in ambito umanistico. La sezione di
piramide visiva di Leon Battista Alberti e il De divina proportione di
Luca Pacioli espongono, in quel di Firenze e di Urbino, la poetica/estetica
umanistico-rinascimentale che intende la forma come aequalitas numerosa (ossia
come molteplicità unificata). Copernico, Keplero, Galilei… fino al
(neo)positivismo e alla fede scientista e tecnologica contemporanea, il numero
è base del Logos (misticismo della ratio): il sublime
matematico e l’infinità dei numeri hanno non solo una funzione
pragmatica ma pure filosofica. “La musica è esercizio dell’anima, in cui
essa non si accorge che sta numerando” diceva Leibniz.
La
musica è un gioco delle perle di vetro (Hesse) che per condurlo occorre
un grande Magister, abile nel gioco e
serio negli atteggiamenti. Ogni gioco ha la sua regola, ma venir meno alla
regola non significa venir meno al gioco, “si viene meno al gioco” – come
dichiarò Donatoni – “quando, cambiando la regola, si gioca un altro gioco.
Il gioco non esiste: ogni volta bisogna inventarlo /…/ alle regole non si
chiede di esser vere”. Fra anima e numero, fra spirito e materia, fra passione
e zelo intellettualistico, fra idealismo e sistematicità razionale si gettano i
dadi della civiltà occidentale, in un gioco dove l’Io inventa la norma. Tutta
la nostra civiltà si muove entro queste ingarbugliate e schizofreniche
coordinate, espresse da un pensiero forte, con una terminologia tecnica e
complessa (la “teoria della complessità” si può dire che si forma già col
pensiero greco), in un perenne gioco di variabili ai concetti di base, nella
complementarietà di religioso e profano (specie nella cultura tedesca), di
legge e di fuoriuscita dalla norma, di ragione e sentire (sentimento), di teoria
e di pratica, di semplice e di complesso, d’istintività e di tecnica, di
struttura e di suono, d’arte per pochi e per la massa, d’arte aristocratica
o borghese. Non si può uscire da queste coppie che incessantemente si
autoalimentano, creando una spirale che fortissima si avviluppa su se stessa,
tutto riconducendo al proprio asse. Di volta in volta prevalgono più alcuni
concetti o atteggiamenti, ma nell’eterno cammino delle stagioni nessun
progresso si verifica dal punto di vista dell’essere, sono possibili
solo sfumature o entrate o uscite temporanee dentro ai topoi classici.
E’ solo ammissibile intrare o pandere, andare all’interno del
(f)atto o allargarlo ed estenderlo nei suoi significati. Non c’è dubbio però
che dall’utilizzazione della scrittura musicale, da mille anni dunque, abbia
prevalso la tendenza speculativa, in altre parole l’osservazione analitica del
fenomeno musica, considerato sia dal punto di vista esterno, filosofico e
teoretico, sia da quello interno, squisitamente costruttivistico, e il lavoro di Verdi ne è un caso esemplare.
Invece
di coppie antagonistiche, avremmo bisogno di recuperare un’unità dell’uomo
legata a un forte senso della necessità interiore, i numeri devono essere
intesi come qualità e non come quantità, una numerologia quindi che
regola gli intervalli non come rapporti aritmetici-geometrici, ma come vita in
divenire, un suono sentito nel suo valore individuale e non solo in
quello stocastico, un suono, come nella musica di Verdi, che rivaluta la
forza/tensione comunicante della musica. Uomo colto, Verdi sa bene tutto questo
e lo dimostra nella sua musica, che pur nei fondamenti tecnici stringenti è di
un’espressività coinvolgente. Senza risposte comunicative, non solo l’uomo,
nei suoi tratti essenziali e primari, si rimpicciolisce, ma ogni grande tema si
vaporizza.
La
musica, come l’arte tutta, può lanciare messaggi importanti essa “parla”
un “linguaggio” sui generis e
neutro, meno condizionato dalla quotidianità, quindi più “libero” di
assumere logiche altre, diverse da quelle del sistema
(politico/sociale/culturale/linguistico) ufficiale. L’arte è come una sorta
di lente di cristallo che viene sovrapposta al (f)atto sociale, per ingrandirlo
e/o rimpicciolirlo; la prospettiva dalla quale l’artista vede la società è
quella di una finestra con vetri che consentono di veder bene, ma non sempre e
non tutto, se poi il vetro è molto spesso o concavo la visione della realtà ne
viene deformata, ma – in ogni caso – sarà quella, perché ogni
incontro col reale, anche quando è trasfigurato, produce una tyche,
un’occasione di esprimere il referente, per cui, seppur in maniera indiretta e
filtrata (dal numero nel caso del discorso di questo testo), la musica si fa
testimone del nostro essere plurale e sociale. Il numero che, a una lettura
romanticheggiante, può sembrare il mezzo più lontano all’espressione è, in
realtà, quello più idoneo, proprio perché scevro da atteggiamenti
individualistici, emotivi e sentimentali. Non si tratta di proporre una visione
oggettiva, ma neutra rispetto alle sovrastrutture emotive, purificata dal surplus
che le poetiche legate al contenuto hanno aggiunto alla sostanziale serenità
emotiva del suono (Stravinskij docet).
Le
corrispondenze fra la musica e la situazione socio-economica s’intrecciano a
più livelli, per esempio la purezza del numero va inquadrata nella reazione
all’esagerato potenziamento degli elementi emotivi rispetto a quelli mentali e
spirituali, recuperando il rapporto fra l’uomo e i suoi strumenti in modo
virile, integro e diretto. Nella sua Lettera sull’Umanesimo, Heiddeger
aveva criticato l’assenza di radicalità della cultura umanistica che aveva
lasciato molti problemi aperti, proprio per il suo pensiero dolce, troppo
legato alla tradizione e a una visione en
rose dei fatti. Questo rischio l’Umanesimo lo corre, la fatica
(ch’è sempre da rispettare quale dimostrazione d’impegno) con cui Verdi
cerca l’affondo lo conferma. Fatica per sganciarsi dalla tradizione e
dalle attuali vie maestre e sforzo per mettere in pratica il pensiero critico,
per raggiungere un’opera compiutamente indipendente e radicale (nel senso di
Heiddeger di “rinnovatore” e in quello del suo etimo di “radice”).
Renzo Cresti, Luigi Verdi, Caleidocili e canoni, in “Musica presente. Tendenze e compositori di oggi”, Lucca, LIM, 2019, pp. 339-343. Alberto Colla, I caleidocicli musicali (1990) di Verdi, in “Trattato di armonia moderna e contemporanea”, vol. I, Le simmetriche terre promesse, Milano, Carisch, 2016, pp. 263-279.
Piero Mioli, Dizionario di musica classica. Dalle
origini a oggi. Gli autori, le scuole, gli esecutori, le musiche, Milano,
Rizzoli, 2006, pp. 1952-953. “Musicisti contemporanei. Compositori e musicologi, panorama biografico” a cura di Otello Calbi, Edizioni Cembalo, Napoli 1994.
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