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Recensione di Maria Girardi in Giornale della Musica, 120, ottobre 1996.
Se
più volte è stato oggetto di indagine il rapporto tra Kandinskij e
Schönberg,
risulta invece del tutto inedito l’accostamento tra Kandinskij e Skrjabin,
condotto efficacemente da Luigi Verdi nel volume in esame, in cui la vita
culturale russa dei primi anni del nostro secolo, vista attraverso l’opera di
questi due protagonisti, si dipana nelle sue plurime esperienze artistiche. La
transizione tra Otto e Novecento fu per la Russia un momento di straordinario
fiorire delle più diverse forme creative, fu il momento di trionfo
dell’estetismo, del culto della bellezza, della forte crisi del linguaggio
musicale, un periodo che non a caso è stato definito “l’età
d’argento”. Fra i vari esponenti di spicco, Aleksandr Skrjabin e Vasilij
Kandinskij, tra i quali non vi fu mai alcun legame personale, sono accomunati da
profonda affinità intellettuale, rapporto empatico fortemente seduttivo e
sorprendente sintonia, caratteristiche che, pur nelle sottili differenze di
linguaggio, emergono nitide negli scritti, nelle idee e in talune realizzazioni
di entrambi. Quella di Skrjabin è la storia di un’esperienza spirituale che
si sviluppa lungo due coordinate: quella musicale e quella mistico-speculativa,
legata a una concezione personale dell’arte e del ruolo dell’artista che si
conclude con un’originale visione cosmogonica nel grande poema incompiuto Acte
préalable, che doveva precedere l’ambizioso Misterium, una sorta
di azione universale dell’umanità intera, di atto teurgico sinestesico, di
magistrale idea di ars combinatoria, di grande poema globale progettato
come una fusione di mezzi musicali, poetici, coreografici e sensoriali per
un’architettura mobile (un tempio a semisfera che doveva elevarsi sopra uno
specchio d’acqua, per potersi poi riflettere e apparire come una sfera
perfetta). Maria Girardi |
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