|
Recensione di Donata Brugioni, in Rivista Italiana di Musicologia, XXXII, 1997, pp.178-81 Lo studio di Luigi Verdi su Kandinskij e Skrjabin si aggiunge ad altri testi che l'autore ha pubblicato sul compositore russo negli anni passati: D'Annunzio e Skrjabin (Gardone, 1988) e Aleksandr Skrjabin tra musica e filosofia (Torino, 1990). Il saggio in oggetto prende in esame la vita culturale russa ai primi del Novecento, vista come momento fondamentale per numerose esperienze artistiche degli anni successivi e individua nei due maestri i perni attorno ai quali ruotano le teorizzazioni relative alla sinestesia e alla fusione delle arti, che tanto interessarono certi ambienti della cultura europea nei primi decenni del nostro secolo, fino a sfociare nella formulazione dell'opera d'arte totale. Il testo, aperto da una introduzione che traccia un panorama della vita culturale in Russia tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, si articola in tre parti, ciascuna divisa in sette capitoli, ed è completato dal Finale nel quale l'autore tratteggia un breve panorama dell'influenza che Skrjabin esercitò sull'ambiente artistico della Russia post-rivoluzionaria e sull'attività del Bauhaus, la scuola d'arte aperta a Weimar, dove Kandinskij fu tra gli insegnanti e dove la ricerca dei rapporti fra suoni e colori fu considerata un punto di partenza per lo sviluppo di nuove forme artistiche. Un breve accenno ad alcuni compositori del Ventesimo secolo che si sono interessati a questa ricerca conclude il saggio, che è corredato da una bibliografia articolata per capitoli e da un utile indice dei nomi. La prima parte dell'opera. Alle origini, individua il punto di partenza della ricerca di Kandinskij e Skrjabin nella cosiddetta 'età d'argento' dell'arte russa: in questo periodo, che va dal 1895 al 1925 circa, la ricerca letteraria e filosofica in Russia si sviluppò insieme a quella artistica e musicale, con una fitta rete di relazioni, scambi e interazioni che portarono a un rinnovamento del linguaggio e degli strumenti espressivi nelle varie arti. Ciò che accomuna Kandinskij e Skrjabin è l'aspirazione verso una forma di arte che le abbracci e compendi tutte poiché, con le parole di Skrjabin, "scrivere soltanto musica, come sarebbe poco interessante! La musica prende forme e significato soltanto quando è collegata ad un singolo piano universale" (p. 4); Kandinskij, dal canto suo, attribuisce questa potenziale capacità della musica di ampliare la propria esperienza artistica, trascendendone i limiti al fatto che la musica rappresenta "l'arte che non si è dedicata alla riproduzione dei fenomeni naturali, ma alla espressione dell'animo dell'artista e alla creazione di una vita autonoma attraverso i suoni musicali" (p. 4). Per introdurre alla comprensione del linguaggio poetico e musicale di Skrjabin, l'autore si riallaccia ai rapporti tra il compositore e i poeti simbolisti russi, prendendo a esempio il testo del poema che Skrjabin aveva collocato come accompagnamento alla Quarta sonata, e che appare fortemente ispirato dall'atteggiamento del compositore, sensuale e mistico allo stesso tempo. Così come Kandinskij, Skrjabin avverte che l'artista rappresenta il centro di aggregazione delle forze spirituali ancora latenti nell'umanità, quelle che il poeta simbolista Belyi definisce come "l'elemento sconosciuto e illimitato che circonda la natura umana"; in tal modo, la realizzazione dell'opera d'arte assume un valore messianico nei confronti dell'umanità, portando l'annuncio di una nuova epoca spirituale. Questo concetto, che circolava in molti ambienti intellettuali agli inizi del ventesimo secolo, trovò in Skrjabin e Kandinskij due dei massimi sostenitori: un fatto, questo, che il saggio di Luigi Verdi, sulla base di citazioni e confronti di scritti d'epoca, riconduce alla notevole influenza esercitata dalle dottrine teosofiche e antroposofiche su entrambi gli artisti, che vi vedevano una risposta ai loro interrogativi, o, come scrisse Kandinskij, "una mano che addita una direzione e porge un aiuto". L'elemento portante di queste teorizzazioni è rappresentato da una concezione mistica dell'origine dell'opera d'arte, che si manifesta all'artista in una propria imprescindibile necessità e compiutezza, alla quale l'artista stesso deve semplicemente porgere ascolto, così che la creazione si fa 'disvelamento' di ciò che già esiste in sé. Compito precipuo dell'artista è quindi quello di farsi mediatore di questa rivelazione, cercando di recuperarne intatto il valore originario, senza alterano. Nella seconda parte del volume, intitolata Suoni e colori, ampio spazio è riservato all'analisi del rapporto tra suoni e colori al quale sia Kandinskij sia Skrjabin dedicarono grande attenzione: nella formulazione dell'idea di arte sintetica, nata dalla fusione di tutte le forme artistiche, Kandinskij, infatti, considerava fondamentale l'esperienza del Prometeo di Skrjabin e la tabella di corrispondenze suono-colore utilizzata dal compositore per questa opera. A questo problema Luigi Verdi dedica un'approfondita disamina, iniziando con un breve excursus sugli studiosi che in epoche precedenti, in particolare nel Settecento, avevano cercato di codificare tali corrispondenze; poi, sulla base di un'analisi degli aspetti tecnici compositivi del Prometeo, definisce un'unità spaziale mediante la quale traduce lo scorrere del tempo all'interno della partitura in una rappresentazione grafica del nesso tra suoni e colori così come fu concepito da Skrjabin. In particolare, viene analizzata la parte ((Luce", notata nella partitura del Prometeo e costituita da due voci: mentre la voce superiore segue il succedersi dei vari accordi sintetici secondo una tabella di corrispondenze tra colori dello spettro e suoni fondamentali dell'accordo, l'autore interpreta la voce inferiore come simbolo di una visione del mondo impregnata di significati esoterici riconducibili alle dottrine teosofiche e antroposofiche, e collegabile, per questa comune connessione, a Il linguaggio dei colori incluso in Lo spirituale nell'arte di Kandinskij. Particolarmente interessante appare il capitolo dedicato ai problemi esecutivi posti dal Prometeo che, dopo una serie di tentativi di realizzare anche i movimenti di luce condotti con scarso successo nel corso degli anni Dieci, fu eseguito per la prima volta nella sua forma integrale solo nel 1962. Anche la composizione scenica Der gelbe Klang (Il Suono giallo) di Kandinskij, che risale al 1912, ebbe un destino analogo a quello del Prometeo, in quanto dovette attendere fino al 1973 per essere rappresentata. In Sintesi tra le arti, terza e ultima parte del volume, l'autore affronta il problema dell'opera d'arte totale: la concezione di "arte sintetica" elaborata da Kandinskij si avvicina molto alla visione di Skrjabin che considerava il Prometeo un primo tentativo di fusione tra le arti, una sorta di saggio preliminare in vista della più compiuta sintesi artistica che sarebbe stata raggiunta con il Mistero, nel quale un'unica opera avrebbe dovuto racchiudere in sé tutte le forme di espressione artistica, in particolare la danza e il dramma teatrale. La danza appariva a Kandinskij come la forma più adatta allo sviluppo dell'arte sintetica, una posizione vicina a quella di numerosi cultori di scienze esoteriche presenti in Russia agli inizi del Novecento, che attribuivano grande importanza alla danza, intesa non nel senso del balletto tradizionale, ma piuttosto nelle sue valenze sacrali, e che in questa prospettiva si riferivano esplicitamente alle danze orientali o a quelle dell'antica Grecia. Analogamente, Skrjabin era convinto che nella tragedia greca sussistesse ancora il ricordo di un'antica arte totale, al quale ci si doveva ricollegare per la formulazione dell'arte del futuro. Ancora una volta l'autore individua in Kandinskij, che nei suoi scritti citava frequentemente Skrjabin, il portavoce di questo comune sentire: "Presto anche nella danza si riuscirà a percepire il valore interiore di ogni movimento e la bellezza interiore sostituirà quella esteriore" (p. 101). L'esempio più vicino al concetto di 'arte totale' è per Kandinskij quello della liturgia ortodossa, e questa idea di liturgia è presente anche nel Mistero di Skrjabin, destinato, nell'intento del compositore, a superare il carattere artificioso del teatro per condurre a esperienze autentiche. Pertanto, il Mistero avrebbe avuto necessità di un luogo in cui compiersi, quello che Kandinskij chiamava "l'edificio dedicato alla 'grande utopia'", e che Skrjabin descrive come "fluido e mutevole, fluido come la musica", immaginandolo costituito da colonne di incenso in continuo riunirsi e disperdersi; questa sorta di "danza architetturale", come la chiamava Skrjabin, in continua evoluzione e formata prevalentemente da costruzioni illusorie, se da un lato ci appare come un sogno irrealizzabile, allo stesso tempo suggerisce una sorta di inconsapevole prefigurazione di ambiente virtuale, di un non-luogo trascendente tutte le possibilità di realizzazione concreta. Certo, dalla partitura multimediale che Skrjabin aveva approntato per il Mistero il passo è lungo, ma l'attenzione rivolta in tempi recenti alle composizioni sceniche della cosiddetta 'età d'argento', in ambito sia teatrale sia cinematografico, conferma la presenza di spunti e tematiche ancora oggi stimolanti. In questa chiave di lettura, il saggio di Luigi Verdi appare di notevole interesse, costituendo una sorta di viaggio alla scoperta delle origini della multimedialità, non soltanto nei suoi aspetti formali o contenutistici, ma anche nelle istanze etico-filosofiche che possono costituirne il substrato ideologico.
Donata Brugioni
|
|
Indice
| Studi | Composizioni | Scritti
musicologici
Promozione
culturale | Direzione d'orchestra
Mostre |
Convegni | Rassegne
musicali | Links
Via
Pontevecchio 16, 40139, Bologna (Italia)
Tel. 051 546682
E-mail
© Copyright 2002 Luigi Verdi
script type="text/javascript" language="JavaScript" SRC="http://codicepro.shinystat.it/cgi-bin/getcod.cgi? USER=manteiner&P=1">